12 dicembre, 2012

American Life


Trama:
Colti di sorpresa dalla notizia che i genitori di lui si trasferiranno per due anni in Europa, Burt e Verona, che stanno insieme da tempo e aspettano il primo figlio, decidono di mettersi in viaggio in cerca di un sostegno e di un luogo ideale dove trasferirsi. Dal Colorado arrivano a Phoenix, Tucson, il Wisconsin, Montreal e infine Miami. Incontrano alcuni parenti, amici dei tempi del college, altre persone, e toccano con mano il loro modo di vivere, di essere madri e padri, di rapportarsi con i figli, di essere o meno 'famiglia'. Il ritorno a casa li convince di aver trovato il luogo dove costruire il loro futuro.

Scheda:
Titolo originale: Away We Go
Nazione: U.S.A., Regno Unito
Anno: 2009
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 98'
Regia: Sam Mendes
Sito ufficiale: www.filminfocus.com/
Cast: John Krasinski, Maggie Gyllenhaal, Jeff Daniels, Allison Janney, Maya Rudolph, Catherine O'Hara, Cheryl Hines, Paul Schneider, Bailey Harkins, Chris Messina, Melanie Lynskey
Produzione: Big Beach Films, Edward Saxon Productions, Neal Street Productions
Distribuzione: Bim



Valutazione:
[tratta da  dal sito dell'acec]

34 anni lei, 33 lui, lei dice un no deciso alla richiesta di lui di sposarsi, lui le chiede di promettergli che non lo lascerà mai. Su questa coppia non sposata ma profondamente innamorata, sul figlio che sta per nascere, su dove nascerà e in quali ambienti crescerà, il copione disegna a poco a poco il ritratto dell'America contemporanea, dei suoi strappi esistenziali, delle ferite interiori, delle incertezze e della voglia di non arrendersi, perché la vita si rinnova. Richiamandosi esplicitamente al cinema usa della grande svolta tra fine '60 e primi '70 (Easy Rider, Un uomo da marciapiedi, Conoscenza carnale, John e Mary), Mendes affresca un diario 'on the road' che passa su molti vuoti ma finisce sul pieno di alcuni valori irrinunciabili, fiducia, rispetto, concretezza, amore. Ne esce un ritratto generazionale pieno di fremiti e palpitazioni, paure e entusiasmi, una cronaca che diventa Storia mentre accade.

Utilizzazione: per alcuni passaggi delicati (vedi l'inizio), il film è da utilizzare in programmazione ordinaria con qualche attenzione. Da proporre in occasioni successive per avviare riflessioni sui temi che affronta (l'America, la famiglia, i valori di ogni giorno...). L'attenzione per minori e piccoli è da tenere anche in vista di passaggi televisivi o di uso di dvd e di altri supporti tecnici. 

Recensione:

Di primo acchito, Burt e Verona sembrano l’ennesima coppia immatura americana del cinema: hanno più di trent’anni, non sono sposati, vivono in una catapecchia mal riscaldata col cartone che rappezza i vetri rotti e non perché siano poveri, ma semplicemente perché non hanno voglia di crescere. Il fatto che però Verona rimanga incinta costringe i due a un inaspettato salto, a porsi delle domande e cercare delle risposte. Dove far crescere la bambina che verrà al mondo? Chi potrebbero essere i suoi parenti o gli amici più prossimi? Burt e Verona vorrebbero capirlo, visto che la prima cocente delusione viene proprio dai genitori di lui: noncuranti della gravidanza della nuora, decidono che si trasferiranno ad Anversa per tre anni proprio alla vigilia del parto, per assecondare un vecchio desiderio (e la scelta del Belgio accentua ulteriormente l’assurdità della decisione). Così, forti del fatto che non hanno problemi col lavoro (Verona lavora da casa come illustratrice, Burt vende prodotti assicurativi per telefono), decidono di partire alla ricerca delle conoscenze che hanno tra Stati Uniti e Canada, per decidere dove stabilire la nuova famiglia. E proprio in questo viaggio i due incontreranno i peggiori luoghi comuni delle coppie cinematografiche: madri alcolizzate che disprezzano i figli, padri depressi, famiglie che - anche nel migliore dei casi - nascondono disperazione e dolore. E tutti con la certezza, espressa o meno, che il mondo sia un posto orribile e senza speranza. Sam Mendes non è nuovo a queste forti contrapposizioni tra persone che non sanno guardare la realtà e piccoli barlumi di lucidità e di percezione di una bellezza che supera le contraddizioni. Era la storia di American Beauty, ma anche di Revolutionary Road, due tra i film più significativi degli ultimi anni. Col suo stile acuto, una fotografia nitida e una narrazione declinata in capitoli e con personaggi ben descritti anche se con poche pennellate, Mendes sembra volerci dire (in una risplendente scena finale) che la ricerca delle proprie radici è l’unico terreno su cui è possibile innestare una nuova vita, trasmettere quel che di buono si è provato e vissuto.

Beppe Musicco






Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato


Trama:
La storia racconta il viaggio del protagonista Bilbo Baggins, coinvolto in un'epica ricerca per reclamare il Regno Nanico di Erebor governato dal terribile drago Smaug. Avvicinato dal mago Gandalf il Grigio, Bilbo si ritrova al seguito di tredici nani capeggiati dal leggendario guerriero Thorin Oakenshield. Il viaggio li conduce per terre piene di pericoli e avventure, abitate da Goblin e Orchi e implacabili Wargs. La loro meta principale è raggiungere l'Est e le aride Montagne Nebbiose, ma prima dovranno sottrarsi ai tunnel dei Goblin, dove Bilbo incontra una creatura che gli cambierà la vita per sempre... Gollum. Qui, da solo con Gollum, sulle rive del lago seminterrato, l'ignaro Bilbo Baggins non solo si scoprirà così ingenuo e coraggioso al punto da sorprendere persino se stesso, ma riuscirà a impossessarsi del "prezioso" anello di Gollum che possiede qualità inaspettate ed utili… un semplice anello d'oro, legato alle sorti della Terra di Mezzo in modo così stretto che Bilbo non può neanche immaginare.

Scheda:

Titolo originale: The Hobbit: An Unexpected Journey
Nazione: U.S.A., Nuova Zekanda
Anno: 2012
Genere: Avventura, Fantastico
Durata: 173'
Regia: Peter Jackson
Sito ufficiale: www.thehobbit.com
Sito italiano: www.lohobbitfilm.it
Social network: facebook
Cast: Hugo Weaving, Cate Blanchett, Elijah Wood, Orlando Bloom, Ian McKellen, Evangeline Lilly, Christopher Lee, Martin Freeman, Benedict Cumberbatch, Luke Evans, Ian Holm, Richard Armitage, Andy Serkis, James Nesbitt, Aidan Turner
Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, New Line Cinema, WingNut Films
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 13 Dicembre 2012 (cinema)


Orari:

SABATO 15 DICEMBRE: ore 21,15
DOMENICA 16 DICEMBRE: ore 17,30 - 21,15
LUNEDI’ 17 DICEMBRE: ore 21,15



Articolo su Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien (1892-1973) [di Marco Respinti]:
[tratto da "La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online" http://www.lanuovabq.it/it/articoli-lo-hobbit-un-incontro-che-ti-cambia-la-vita-5365.htm]

«In te c'è più di quanto tu creda, figlio delle miti terre d'Occidente».

La lettura de Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien (1892-1973) realizzata per il cinema dal talentuoso regista neozelandese Peter Jackson, già autore dell'eccellente versione filmica de Il Signore degli Anelli, approderà nelle sale italiane il 13 dicembre, dopo una lunga, lunghissima attesa. Sarà la prima parte, sottotitolata Un viaggio inaspettato, di ben tre kolossal che seguiranno negli anni venturi. E proprio Un viaggio inaspettato è anche il sottotitolo dato alla nuova traduzione italiana del racconto tolkieniano edita da Bompiani, a cura della Società Tolkieniana Italiana, che benemeritamente restituisce ai lettori un testo più aderente all'originale, più bello, più sapido. Perché proprio del libro occorre parlare in un momento in cui praticamente tutti coloro che si occuperanno dell'argomento parleranno solo del film. Del resto quest'ultimo sarà un successo autentico, al di là dei guadagni e degli echi mass-mediatici, solamente se saprà, non certo essere un doppione del libro (cosa da un lato impossibile, dall'altra inutile), ma renderne appieno la profondità del respiro.

Lo Hobbit, infatti, è un racconto maturo, motivo per cui sa essere sia per grandi sia per più piccoli, abbattendo, come pochi sanno fare, quello steccato supponente, e sotto sotto pure un po' ideologico, che la “critica” frappone, come un barriera insormontabile, tra “gli adulti” e “i ragazzi”. Lo Hobbit è un racconto serio, e per questo sa anche ridere di gusto nel momento giusto e mai canzonare con livore. E Lo Hobbit è un racconto vero perché parla di cose reali, anche se non sempre materiali.

Chi ama Tolkien conosce la storia a menadito, mentre chi la ignora la vedrà disvelarsi affascinante e coinvolgente davanti agli occhi. Per questi motivi è futile o dannoso raccontarne la trama. Ci asteniamo. Non però dal contemplarne ancora una volta la vicenda.

Vi è qualcosa là fuori, narra Tolkien con Lo Hobbit, che mai ti aspetteresti. Un dì soleggiato e tranquillo quel qualcosa viene bruscamente a bussarti alla porta, gettandoti dalla seggiola e scuotendoti dal quieto vivere. Cerchi di respingerla, la combatti, preferisci startene rintanato nel tuo cantuccio, ma - ancora non capisci come, dove e quando - essa ti prende; un po' per mano, un po' spintonandoti da dietro. Quel qualcosa ha il volto di uno che è più grande, maggiore di te. Uno che non è che sa già tutti in anticipo, o che è più intelligente ed erudito di te: semplicemente uno che percorre la medesima strada, che sarà anche la tua, da più tempo di te, che ha più esperienza e che quella esperienza ti mette a disposizione senza nemmeno starci troppo a pensare.

Uno così, strano e affascinante, scorbutico se serve e dolce come sempre serve, ha radunato una banda. La più improbabile di tutte. Ti ci ficca dentro senza chiederti il permesso, e poi ti proietta in un mondo enorme che neanche sospettavi esistesse, irto d'insidie anche mortali e colmo di bellezze da mozzare il fiato. La sua banda sgangherata è fatta di gente che davvero non ti saresti mai scelta come compagnia, cui ti senti di per sé superiore, gente insomma con cui le persone perbene non si legano affatto. Non fai a tempo a rendertene conto, però, e già sei sul cammino, dietro a quella banda, borbottante e mugugnante come sempre, nostalgico del tuo far niente come sei fatto, e però attratto da un non so che cominci a sentir sorgere palpitando in un angolo remoto del cuore che non ricordavi più di avere.

Il cammino, tuo e di quella banda, non è un vagare, perché ha una meta, e perché segue una guida. Ha pure uno scopo, una missione da compiere. Quale? La tua, che diamine. Rischiosa, ovvio, ma ne vale la pena. Forse non ne tornerai vivo, ma tanto hai già cominciato a chiederti se davvero serve salvarsi la vita a ogni costo se per farlo si rinuncia a viverla.
I tuoi compagni un po' ti deridono: pensano che non sarai all'altezza. Ciò che dovrete fare è infatti nientemeno che un furto; o così lo chiamano coloro che non hanno più memoria, quelli per cui certe cose sono fuorilegge, vietate, indegne. Tipo farsi invitare e sospingere lungo una strada che ha un compito dentro una compagnia da un tipo che è diversissimo dagli altri.

Lungo la strada t'imbatti per di più in un'altra sorpresa ancora, persino più grande; in realtà le sorprese cin cui t'imbatti sono mille e una, quotidiane, e ora riesci a cavartela sempre meglio, scorgendoti crescere dentro e fuori come non credevi possibile. Una di quelle sorprese è però la più bizzarra e perigliosa di tutte. È quella che pone davanti alla vita e alla morte: alla morte prima e a quella seconda: al morire semmai avendo ben vissuto o al lasciarti vivere come un morto che cammina.

C'è un incontro enorme dentro quell'incontro iniziale che già ti pareva insolito, e dentro c'è addirittura l'intera posta messa in gioco della tua missione, una posta davvero più grande, smisurata, impari, che ancora non hai capito sino in fondo, né tu né i tuoi compagni né chi cammina davanti a te da più tempo di te. Grande, ma così grande che solo dopo, a fatica e a brandelli riuscirai forse a iniziare a intuire; ha a che fare niente meno che con la salvezza, con quella di ognuno e di tutti, con il destino. Se te lo avessero chiesto prima, saresti già da tempo altrove; ma l'avventura umana non ti chiede mai il permesso per tirarti giù dalla branda e caricarti sulle spalle il tuo compito.

Cammina e cammina, combatti e combatti, ridi e scherza, ti rendi improvvisamente conto che di quella compagnia sgangherata che ha disturbato i tuoi sonni tranquilli adesso non puoi più fare a meno, che adesso quei tipi strani sono tuoi amici per la pelle, che tu dipendi da loro o loro da te, che nulla è più come prima.

Nulla è davvero più come prima. Per primo tu, per effetto anche dei tuoi amici, e subito dopo loro, anche per effetto tuo. Ti guardi, e non ti riconosci più. Sei un altro. Ti guardi meglio adesso che sei un altro irriconoscibile e vedi che in verità sei ancora quello di prima, che quel tuo volto nuovo già c'era, ma aveva bisogno di essere ripulito, portato alla luce, indossato. Ti guardi, insomma, e sei uomo, maturo, adulto e ragazzo assieme. Ti guardi e finalmente sei tu, cioè “io”.

Ti guardi, e ti rendi conto che leggere Lo Hobbit ti cambia la vita. Fine dell'avventura, fine della storia? No, inizio. Nulla sarà più come prima, meno male. Ti guardi, e sei finalmente diventato quel che eri nato per essere solo se la possibilità di quel destino l'avessi accolta con disponibilità pur senza capire, e un po' continuando a mormorare, ma da cui ti guardavi bene per mediocrità. I soloni ti chiamano mezz'uomo, ma perdonali Padre perché non sanno quello che dicono.

«In te c'è più di quanto tu creda, figlio delle miti terre d'Occidente», disse morendo il nobile nano Thorin Scudodiquercia a Bilbo Baggins che un tempo era una sciacquetta e che oggi è un vero hobbit.



Recensione sul film "Lo Hobbit" [di Marco Respinti]:
[tratta da http://www.lanuovabq.it/it/articoli-lo-hobbit-un-film-che-fa-rivivere-tolkien-5381.htm]

Con Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato, Peter Jackson conferma la propria grandezza. Di regista cinematografico, ovvio, capace di tenere per tre ore filate lo spettatore incollato allo schermo senza cali di tono, maestro nell’amministrare gli effetti speciali, perfetto nelle inquadrature di ampio respiro dei panorami mozzafiato della Nuova Zelanda, intelligente nell’indossare la bellissima colonna sonora di Howard Shore. Che il suo Gandalf, il suo Gollum, i suoi buchi hobbit e il suo Bilbo prima maturo e poi vecchio fossero pressoché identici a come li avevamo visti descritti nelle pagine di J.R.R. Tolkien lo sapevamo bene.

Oggi questa sua bravura viene ribadita dai suoi nani, dal suo Bilbo giovane, dal suo maestoso Thorin Scudodiquercia, da quel poco che in questa prima tranche della nuova trilogia s’intravvede del terribile drago Smaug, dalla laidità dei suoi troll, dalla dolcezza dello sguardo paterno di Gandalf che si alterna ai suoi modi burberi altrettanto paterni, dalla battaglia fra luce e ombre, e persino da quel canto roco dei nani che, mettendo i brividi, pare sorgere, come loro, dalle viscere del sottosuolo.

Ma c’è di più. I registi bravi come Jackson, infatti, non mancano. Quel che invece scarseggia sono i lettori sagaci di Tolkien chiamati a misurarsi con un mezzo espressivo affascinante ma pericoloso qual è la settima arte.

Il compito paratosi innanzi a Jackson era al principio immane. Cimentarsi per la seconda volta con Tolkien dopo il successo de Il Signore degli Anelli, e cimentarsi pure per la seconda volta con se stesso alle prese con Tolkien. Probabilmente il regista si sarà sentito come il pavido Bilbo delle prime scene, inadatto, non all’altezza, improbabile per definizione. Ma, proprio come il suo riuscitissimo Bilbo da ragazzo, Jackson non si è tirato indietro, e alla fine l’ha spuntata.
Davanti al libro di Tolkien , Lo Hobbit del regista neozelandese proprio non sfigura. Rispetto a Il Signore degli Anelli, del resto, la trama meno complessa e assai più breve gli permette di curare i dettagli, di seguire il testo tolkieniano a tratti letteralmente e là dove invece riassume di farlo scegliendo con cura i dialoghi, le battute e persino le parole, che così risultano sempre giuste, tonde, misurate; da riempirne di gioia un filologo acribico e meticoloso com’era Tolkien stesso.

Quando invece si prende delle libertà, e qualche libertà Jackson se la prende, riesce a farlo con garbo e rispetto, in perfetta sintonia con lo spirito del testo. Narrare per immagini al cinema e narrare per iscritto in un libro non è affatto la stessa cosa. Sembra ovvio, ma molti ancora non lo capiscono. I due strumenti impongono scelte e tecniche diverse; per di più, allo spettatore che dovrà attendere un anno per vedere il proseguio della storia e ben due per assistere alla sua conclusione bisogna per forza di cose offrire almeno una prima, parziale conclusione. Facendolo, Jackson crea, ma con raffinatezza, e seguendo sempre Mastro Tolkien. Per esempio alludendo in anticipo ad alcune scende decisive della fine del racconto, anticipandone cioè su scala minore il gusto, introducendone il sapore, accennandone il tono. In questo modo non tradisce l’autore, ma lo recita con voce adatta al cinema.

Jackson riesce bene insomma a dialogare continuamente con Tolkien. Jackson non è Tolkien, ma nemmeno si è mai sognato di esserlo. Radunando una volta in più lo staff dei suoi collaboratori più stretti, fra i quali spiccano sua moglie Fran Walsh e Philippa Boyens (le co-sceneggiatrici con cui ha adattato il libro allo schermo), Jackson riesce non a riprodurre un noioso doppione de Lo Hobbit tolkieniano, ma a preservarne l’anima, traducendola in immagini.

Spazio e tempo, si diceva, Jackson ne ha più qui che ne Il Signore degli Anelli, e così indugia, dilatando la narrazione di alcune scene che nel libro sono invece appena accennate. Tolkien non se ne sarebbe affatto risentito. Lui stesso ha lasciato ai lettori decine di rifacimenti e di versioni delle medesime narrazioni, e lo animava la speranza che i suoi libri avessero almeno steso un canovaccio “minimale” che altri narratori avrebbero un giorno sviluppato. Jackson ha preso Tolkien sul serio e ci ha provato, con ottime dosi di riuscita.

Una delle cose, poi, in cui Jackson eccelle, e che ne Lo Hobbit riesce a fare ancora meglio che ne Il Signore degli Anellli, è ancorare saldamente il racconto alla più vasta, antica e profonda trama del colossale legendarium tolkieniano, dalla Creazione di tutto all’ultima battaglia davanti al Nero Cancello di Mordor che permetterà agli uomini di abitare il tempo storico e di preparare il venire della salvezza delle cose. Non solo Jackson lega Lo Hobbit film al film Il Signore degli Anelli, ma rende il racconto tolkieniano de Lo Hobbit tutt’uno con la storia dei tempi remoti narrata addirittura ne Il Silmarillion e con la profezia di quel che accadrà nei giorni ultimi della Guerra dell’Anello.

Il risultato è questo suo nuovo film, pieno e denso, ricco di occhiatine al lettore (come dire: “Ehi, hai visto che quel particolare del libro ce l’ho messo anche nel film?...”) e di citazioni dirette, di parole mai dette a caso e di gesti ben studiati. Jackson il suo servizio al gran testo di Tolkien lo rende insomma in modo eccellente, e quei suoi nani che sono il resto di un popolo sconfitto e disperso, diaspora smarrita in un esodo senza fine e senza patria, in lutto per la perdita di padri e la caduta di fratelli, esiliati in terra straniera, quei suoi nani così somigliano tanto al popolo della Bibbia le cui gesta e i cui dolori preludono a una Buona Novella che nessun calcolo umano può attendersi ma che certamente verrà. Il libro de Lo Hobbit è un grande avvento, tutta l’opera tolkieniana è un colossale, nobile, maturo avvento, raccontato con bellezza e passione. In questo inizio filmico c’è già dentro tutta la fine magnanima della storia che vedremo tra anni. Ho sentito qualcuno in sala dire di preferire una soap opera. Liberissimo. Ma non è colpa di Jackson, è tutta colpa solo di Tolkien. Per misurarsi con la cui grandezza di cuore essere tronfi non serve, ma piccoli, mezzi uomini, nani. E una volta veduto il film di Peter Jackson, darete tutto per essere dei nani.


E per i patiti del genere…
Cliccate qui per scaricare il pdf con 60 pagine di curiosità sul film
http://www.donboscorivoli.it/uploads/pdf/lo-hobbit.pdf













05 dicembre, 2012

Il primo uomo


Trama:
1957. All'inizio dell'estate, Jacques Cormery, famoso scrittore e studioso, torna in Algeria nel pieno della guerra d'indipendenza. Dopo una movimentata conferenza all'università, Jacques torna a casa e ritrova l'anziana mamma. Da qui comincia a ripercorrere a ritroso la propria vita, partendo sempre da un punto fisso: la scomparsa del padre, quando lui aveva solo pochi mesi, morto al fronte nella Prima guerra mondiale. Nell'ansia mai sopita di ricostruire la figura paterna, Jacques fa domande, chiede informazioni, cerca di rimettere insieme i frammenti dell'infanzia in terra d'Africa. Così le vicende personali finiscono per intrecciarsi sempre di più con quelle di una realtà algerina in pieno fermento e dove ormai infuria la guerra.

Scheda:

Titolo originale: Il primo uomo
Nazione: Italia, Francia
Anno: 2011
Genere: Commedia
Durata: 98'
Regia: Gianni Amelio
Sito ufficiale:
Cast: Maya Sansa, Jacques Gamblin, Denis Podalydès, Régis Romele, Catherine Sola, Christophe Dimitri Réveille, Elsa Levy, Nacim Ben Younes, Jean Benoit Souilh, Laurence Lafiteau
Produzione: Cattleya, Soudaine Compagnie, Maison de Cinema, France 3 Cinéma, Laith Media, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: 20 Aprile 2012 (cinema)


Valutazione:
[tratta da http://www.siti.chiesacattolica.it/pls/siti/datafilm_cnvf.dati_film?c_doc=6536&origine=0&from_acec=1]

Nato vicino ad Algeri nel 1913, Albert Camus muore in Francia nel 1960, in un incidente d'auto insieme all'editore Michel Gallimard. Il romanzo "Il primo uomo", al quale stava lavorando, resta incompiuto, e viene pubblicato postumo solo nel 1994, per iniziativa della figlia. La vicenda del bambino, rimasto senza padre e affidato a mamma e nonna in una situazione territoriale ibrida e instabile, ha fatto scattare molte suggestioni in Gianni Amelio. Partendo dal libro, il regista ha scritto un copione, nel quale ha visto riflessa la propria vicenda di ragazzo con un padre lontano (emigrato in Argentina) e in zone geografiche a rischio (la Calabria in tempo di guerra). Se il paragone sconta qualche rischio di forzatura, di grande fascino risultano invece il testo, lo stile, la messa in scena. Attraverso un periodare secco, di nitida pulizia espressiva, Amelio compone un quadro incisivo e efficace, mai sopra le righe, forte di una introspezione asciutta non asettica o tediosa, risultato di uno sguardo dolce, affettuoso, amarognolo. La chiave di volta è nel disegno di atmosfere pudicamente quasi fuori moda, eppure robuste e cariche di dignità. Argomenti importanti, aderenza forte alla sovrapposizione tra storia privata e Storia pubblica, delicatezza dei rapporti umani, eleganza nella notazioni antropologiche: un film di spiccata originalità che è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti. 


Recensione:
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1788]

Tratto dal romanzo, uscito postumo e forse incompleto, di Albert Camus, il nuovo film di Gianni Amelio racconta le vicende dello scrittore Jean Cormery, molto vicine all’autobiografia dello scrittore francoalgerino (ma con tratti vicini anche alla vita del regista stesso, a cominciare dall’assenza di una figura paterna). Cormery torna da scrittore affermato, e detestato: dai francesi perché difende le legittime aspirazioni all’indipendenza degli indigeni, musulmani, che volevano chiudere l’era coloniale; dagli stessi rivoluzionari o terroristi che dir si voglia, perché non accettava la scelta della violenza. Cercava la giustizia e l’armonia tra le etnie. Ma alla fine degli anni 50 questo era impossibile.
Questa chiave storico-politica si accompagna alla rievocazione dell’infanzia, negli anni 20 segnati dalle conseguenze della Prima guerra mondiale, ma più come ricerca delle cause delle questioni che attanagliano il presente che come idillio consolatorio. Ed è la parte più felice del film, grazie a un giovanissimo straordinario protagonista e al suo rapporto con la madre apparentemente remissiva (interpretata dalla brava Maya Sansa) e a una nonna autoritaria e severissima, nonché a un maestro che lo aiuterà a crescere. Una citazione per Cormery adulto, incarnato da un convincente Jacques Gamblin.
Film non facile da seguire per uno spettatore italiano poco preparato sulle vicende storiche dell’Algeria (a meno che non ricordi La battaglia di Algeri di Pontecorvo) e debitore di uno stile classico ed elegante un po’ demodè ma anche affascinante, Il primo uomo sembra una pellicola per pochi intenditori. O per spettatori in vena di paziente ricerca di preziose operazioni cinematografiche. Che puntano sulla testa e non solo sulle emozioni. Se si sta al gioco di Amelio, uno dei più grandi registi italiani e da sempre sobrio indagatore di passioni umane anche fortissime (ma sempre controllate), la pazienza viene ripagata. 

Antonio Autieri


Il peggior Natale della mia vita


Trama:
Mancano tre giorni a Natale. Giorgio, sua moglie Clara, la figlia Margherita arrivano alle pendici del Monte Rosa, invitati nel castello appena acquistato da Alberto, scampato a una grave malattia. Alberto pensa di lasciare a Giorgio, già suo vice, il comando dell'azienda. Giorgio è teso sia per questo ancora segreto 'regalo' sia per l'imminente arrivo di Paolo, marito di Margherita, al nono mese di gravidanza. Dal momento in cui arriva, Paolo combina un guaio dopo l'altro, fino a procurare un incidente a Alberto, e ritenersi obbligato ad annunciarne la morte. Il dolore cala nel castello a cominciare dalla figlia di Alberto, Benedetta, anche lei incinta, ma dopo un'operazione in Spagna. In realtà l'uomo guarisce, si riprende e trasforma tutte le persone arrivate per la veglia funebre in invitati alla festa di Natale. Nel bel mezzo di musica e canzoni, Margherita accusa in anticipo le doglie dl parto. Difficoltà, imbarazzi, arrivo concitato dell'ambulanza. Infine la bambina nasce, e Paolo la tiene in braccio con enorme paura da parte della mamma e dei nonni.

Scheda:
Titolo originale: Il peggior Natale della mia vita
Nazione: Italia
Anno: 2012
Genere: Commedia
Durata: 93'
Regia: Alessandro Genovesi
Sito ufficiale: http://it.cinema.yahoo.com/...
Social network: facebook
Cast: Fabio De Luigi, Cristiana Capotondi, Diego Abatantuono, Laura Chiatti, Antonio Catania, Anna Bonaiuto, Dino Abbrescia, Andrea Mingardi, Ale, Franz
Produzione: Colorado Film, RTI, Film Commission Vallée d'Aoste
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

Orari:
SABATO 8 DICEMBRE: Spettacolo Teatrale
DOMENICA 9 DICEMBRE: ore 17,30 – 21,15
LUNEDI’ 10 DICEMBRE: ore 21,15

Valutazione:
[tratta da http://www.siti.chiesacattolica.it/pls/siti/datafilm_cnvf.dati_film?c_doc=6649&origine=0&from_acec=1]

Dice Genovesi: "Il finale del precedente titolo (La peggior settimana della mia vita, 2011) era stato lasciato volutamente aperto(...) avevamo tutti voglia di proseguire, di ritrovarci per dare vita ad un'altra impresa e per fare un po' i cretini tra noi...". Così è stato, bisogna dire. Fabio De Luigi prosegue a dare vita "ad una serie ininterrotta di azioni maldestre, gaffe e situazioni assurde che coinvolge tutti i presenti nel castello". E gli altri personaggi che di volta in volta lo incontrano vivono reazioni stupite, arrabbiate, interrogative. Insomma tutto nelle regole di una comicità dissonata e un po' sgangherata, quà e là divertente ma forse poco controllata. La 'balordaggine' di Paolo risulta infatti fin troppo sottolineata oltre il necessario, anche quando si inoltra palesemente nei territori del 'non sense'. L'operazione è simpatica e gradevole ma il risultato è quello di una prodotto leggero e fragile, in linea con una commedia italiana di generose e limitate ambizioni

Recensione:
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1933]

Commedia brillante e divertente, seguito efficace de La peggior settimana della mia vita. La vicenda è da tipica commedia degli equivoci. Paolo (un De Luigi in forma che collabora anche alla sceneggiatura) è in viaggio per Gressoney, portandosi dietro la piscina in cui la moglie Margherita (Cristiana Capotondi), incinta all'ultimo mese, vuole partorire. Il contesto è però particolare: i suoceri che mal sopportano il goffo genero l'hanno invitato in un castello splendido di proprietà di Alberto (Abatantuono, in gran forma) per festeggiare il Natale. Ma le complicazioni non mancheranno. 
Dirige Alessandro Genovesi, già autore del primo episodio e della sceneggiatura del bel Happy Family di Salvatores. Il film funziona e non certo per l'originalità delle gag o della vicenda. Anzi, proprio la volontà di Genovesi di accodarsi alla classica commedia degli equivoci rende il film ancora più gustoso per la capacità degli attori e degli sceneggiatori di rendersi simpatici senza ricorrere ad alcuna volgarità. Tante le gag riuscite: l'entrata in scena di Paolo, la questione della piscina, la parentesi surreale e riuscitissima con protagonisti gli stralunati Ale e Franz nei panni di due impresari di pompe funebri. Soprattutto è la verve degli attori a rendere gustosa l'operazione: De Luigi si conferma un buon attore e il suo personaggio naif, goffo e candido al tempo stesso è uno spasso ma sono le “spalle” a essere ancora più divertenti. Abatantuono si trova confezionato addosso un personaggio sornione e ironico; e l'equivoco che lo vede protagonista ha tempi comici perfetti. Ma anche i suoceri Antonio Catania e Anna Bonaiuto e il maggiordomo Dino Abbrescia mostrano tutta la propria esperienza di grandi attori prestati al ruolo di caratteristi. Fa eccezione il personaggio di Laura Chiatti, la figlia di Abatantuono, meno brillante e dalla comicità sin troppo forzata: forse l'unico personaggio non fondamentale nell'economia narrativa. Ma è un piccolo neo di un film semplice, di puro intrattenimento e positivo, sorretto da due bravi sceneggiatori che lavorano sui meccanismi classici della risata (gli opposti, gli equivoci, il surreale) senza mai ricorrere al sesso, alle banalità, alla caricatura a cui anche tanta recente commedia statunitense, più blasonata, ci ha abituati. Non è poco.

Simone Fortunato









27 novembre, 2012

Venuto al mondo


Trama:
Carica di ricordi degli anni di guerra, Gemma si reca a Sarajevo con suo figlio Pietro per assistere a una mostra in memoria delle vittime dell'assedio, che include le fotografie del padre del ragazzo.
Diciannove anni prima, Gemma lasciò la città in pieno conflitto con Pietro appena nato, lasciandosi alle spalle suo marito Diego, che non avrebbe mai più rivisto, e l'improvvisata famiglia sopravvissuta all'assedio: Gojko, l'irriverente poeta bosniaco, Aska, la ribelle ragazza musulmana e la piccola Sebina.
L'intenso amore e la felicità tra Diego e Gemma non erano abbastanza per colmare l'impossibilità di Gemma a concepire figli. Nella Sarajevo distrutta dalla guerra, i due trovarono una possibile surrogata, Aska. Gemma spinse Diego tra le sue braccia per poi essere sopraffatta dal senso di colpa e dalla gelosia.
Ora una verità attende Gemma a Sarajevo, che la costringe ad affrontare la profondità della sua perdita, il vero orrore della guerra e il potere di redenzione dell'amore.

Scheda:
Titolo originale: Venuto al mondo
Nazione: Italia, Spagna, Croazia
Anno: 2012
Genere: Drammatico
Durata: 127'
Regia: Sergio Castellitto
Sito ufficiale:  
Cast: Penelope Cruz, Emile Hirsch, Mira Furlan, Jane Birkin, Sergio Castellitto, Isabelle Adriani, Adnan Haskovic, Pietro Castellitto
Produzione: Medusa Film, Picomedia, Alien Produzioni, Telecinco Cinema, Mod Producciones, Ziva Produkcija, Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC)
Distribuzione: Medusa
Data di uscita: 08 Novembre 2012 (cinema)

Orari:
SABATO 1 DICEMBRE: ore 17,45 – 21,15
DOMENICA 2 DICEMBRE: ore 17,30 – 21,15
LUNEDI’ 3 DICEMBRE: ore 21,15

Recensione:
[su http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1921]


Cena tra amici


Trama:
In procinto di diventare padre per la prima volta, Vincent, quarantenne di successo, viene invitato a cena a casa della sorella Elisabeth e di suo marito Pierre. Qui incontra Claude, amico d'infanzia e, mentre tutti aspettano l'arrivo della giovane moglie Anna, i discorsi finiscono sulla scelta del nome per il nascituro. Si apre la ridda delle ipotesi e, quando vede che nessuno riesce ad indovinare, Vincent comunica che il nome è Adolphe. Da quel momento la serata non è più la stessa.

Scheda:
Titolo originale: Le Prénom
Nazione: Francia
Anno: 2012
Genere: Commedia
Durata: 109'
Regia: Alexandre de La Patellière, Mathieu Delaporte
Sito ufficiale: www.pathefilms.com/film/le-prenom
Cast: Patrick Bruel, Valérie Benguigui, Charles Berling, Guillaume De Tonquedec, Judith El Zein, Françoise Fabian, Yaniss Lespert, Miren Pradier, Alexis Leprise, Juliette Levant, Bernard Murat
Produzione: Chapter 2, Pathé, TF1 Films Production, M6 Films
Distribuzione: Eagle Pictures
Data di uscita: 06 Luglio 2012 (cinema)

Valutazione:
[tratta da http://www.siti.chiesacattolica.it/pls/siti/datafilm_cnvf.dati_film?c_doc=6566&origine=0&from_acec=1]

All'inizio c'è stato un notevole successo teatrale. Poi il passaggio al grande schermo. "Abbiamo cercato -dice Matthieu Delaporte- di rendere il dialogo molto naturale, come se venisse direttamente da loro, dai protagonisti. La commedia è tutta una questione di ritmo, un mix di libertà e precisione, evitando che diventi meccanica e non cada nel naturalismo e nella loquacità(...). La questione dei nomi poi apre una vera e propria finestra sulla società. Un nome è carico di significato, per chi lo dà e per chi lo riceve. Abbiamo così potuto ridere di noi stessi, provando un piacere maligno nel deridere le nostre scelte, in una sorta di humour sado-masochista". Nel copione l'alchimia tra suggestioni teatrali e spazio cinematografico risulta ben diluita e giocata nei tempi giusti. Il montaggio tiene i passaggi narrativi su ritmi alti e serrati. Il clima conviviale dell'inizio lascia a poco a poco il campo ad una schermaglia politico-letteraria incalzante e di inesorabile cattiveria. Dal chiuso del salotto si apre uno scenario realistico sulla famiglia francese (occidentale) contemporanea, tra ideologie e ipocrisie vecchie e nuove. Niente è superficiale, si ride amaro, si mettono a nudo limiti intellettuali ben precisi. Interessante notare come, nonostante l'impianto, siano pochi i punti di contatto con il similare "Carnage" di Polanski, ambientato a New York.

Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, con attenzione per minori e piccoli (anche in seguito per uso di dvd e di altri supporti tecnici), considerato il taglio aspro della vicenda. Da proporre anche come esempio per riflettere sul rapporto cinema/teatro. 

Recensione:
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1848]

La commedia più spassosa della stagione parla francese (e purtroppo nel doppiaggio italiano parte del divertimento si perde per strada). Nella bella casa parigina dei coniugi Pierre ed Elizabeth tutto è pronto per la cena; sono invitati Vincent, fratello della padrona di casa, e la sua compagna Anne che aspetta un bambino. Poi Claude, amico di entrambe le coppie, che arriva direttamente da un concerto dell’orchestra nella quale suona il trombone. Pierre ed Elizabeth sono una perfetta coppia contemporanea: lui insegna letteratura alla Sorbona, è di sinistra a partire dall’abbigliamento, tutto camicie a scacchi e completi in velluto; anche lei insegna, ma alle medie (e il confronto col marito la frustra un po’) e hanno due figli dai nomi letterari e piuttosto ridicoli, Apollin e Myrtille. Vincent invece non ha idee politiche, è un agente immobiliare di residenze di lusso, gli piace la bella vita e fare scherzi al prossimo. Visto che Anne è in ritardo, i quattro iniziano a spizzicare e intanto tutti vogliono sapere come si chiamerà il bambino. Vincent li tiene un po’ sulle spine, poi spara un nome. Che scatena il finimondo….
Giocato in perfetta unità di tempo e di luogo (il film è di derivazione teatrale, con gli stessi attori che recitavano in teatro), Cena tra amici è una costruzione accurata, con un meccanismo di dialoghi e battute che ricorda alcuni perfetti esempi del genere, primo fra tutti La cena dei cretini, anche se qui la collocazione e il gioco di coppie rimandano più a Carnage di Roman Polanski. Naturalmente non possiamo svelare il nome (Le prenom, proprio da titolo originale) che dà origine a disastri a catena che coinvolgono tutti i convenuti, e anche oltre. Però ognuno vedrà ripresentati gli scheletri che teneva da lungo tempo nell’armadio esposti al feroce ludibrio degli altri, e amicizie di lungo corso e rapporti di sangue saranno messi a durissima prova, per l’imbarazzo e la risata di chi sta a guardare. Buon divertimento.

Beppe Musicco






20 novembre, 2012

Il giorno in più


Trama:
A Milano Giacomo Pasetti ha un buon lavoro ed è un single convinto. Rimasto senza macchina, per alcuni giorni sull'autobus osserva una ragazza che, infine e in modo inaspettato, fa il primo passo e lo avvicina. Comincia così una storia tra i due destinata ad andare avanti in modo molto movimentato, tra promesse di non assumere impegni e colloqui, appuntamenti, vita comune collocati tra Milano e New York dove lei, Michela, è andata a lavorare. L'ultima richiesta di incontro è affidata ad un biglietto volante che però forse ottiene il risultato previsto.

Scheda:
Titolo originale: Il giorno in più
Nazione: Italia
Anno: 2011
Genere: Commedia
Durata: 112'
Regia: Massimo Venier
Sito ufficiale: http://ilgiornoinpiu.msn.it/
Social network: facebook
Cast: Fabio Volo, Isabella Ragonese, Pietro Ragusa, Stefania Sandrelli, Jack Perry, Roberto Citran, Luciana Littizzetto
Produzione: IBC Movie
Distribuzione: 01 Distribution

Recensione:
[su http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1688]


007 - Skyfall


Trama:
Daniel Craig è tornato a vestire i panni di James Bond 007 in Skyfall, la 23ª avventura del più lungo frachise cinematografico di tutti i tempi. In Skyfall, la lealtà di Bond verso M sarà messa alla prova quando il suo passato verrà a perseguitarla. Quando il MI6 verrà messo sotto assedio 007, dovrà scovare e distruggere la minaccia, non importa a quale costo.

Scheda:
Titolo originale: Skyfall
Nazione: Regno Unito, U.S.A.
Anno: 2012
Genere: Azione, Thriller
Durata: 140'
Regia: Sam Mendes
Sito ufficiale: www.007.com/skyfall
Sito italiano: http://007skyfall.it
Social network: facebook, twitter
Cast: Daniel Craig, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Bérénice Marlohe, Naomie Harris, Ben Whishaw, Helen McCrory, Rory Kinear, Albert Finney, Judi Dench
Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, Columbia Pictures, Danjaq, Eon Productions
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

Orari:
SABATO 24 NOVEMBRE: NO (Perchè ospitiamo uno Spettacolo teatrale)
DOMENICA 25 NOVEMBRE: ore 17,30 – 21,15
LUNEDI’ 26 NOVEMBRE: ore 21,15

Recensione
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1915]

Per festeggiare 50 anni ottimamente portati, nonostante qualche occasionale caduta, l’agente segreto più famoso del cinema si lancia in un’avventura che è tutta un gioco tra presente, passato e futuro, con un tripudio di citazioni dai capitoli precedenti (e non solo dell’era Craig), ma anche da altri “grandi” del cinema, senza farsi mancare più colte citazioni letterarie (una su tutte quella, bellissima, di Tennyson pronunciata imprevedibilmente proprio dalla pochissimo poetica M…).
Curioso pensare che alla fine di questo rutilante “celebrazione” che, come è ormai d’uso nei grandi franchise cinematografici, fa tappa nelle città del nuovo potere economico (qui Istanbul, già vista in Taken 2, ma soprattutto Shangai), il punto di arrivo sia deliziosamente “retrogrado”, con le donne (siano essere di potere, d’azione o “di piacere”) ridotte a morire o a finire dietro una scrivania. Per non parlare del cattivone di turno (un superbo Javier Bardem) con pose da omosessuale che tenta di sedurre (e non solo metaforicamente) Bond e viene da lui signorilmente respinto per riaffermare un machismo “ripensato” che è il portato più evidente di quest’ultima lettura del personaggio, insieme a un reale approfondimento della sua psicologia. Che non tradisce nulla del passato, ma al tempo stesso si porta dietro, come del resto dichiarato dal regista Sam Mendes (American Beauty, Revolutionary Road), quell’aura di “cupezza buona” tipica dei blockbuster di qualità degli ultimi anni (si legga la serie di Batman firmata Nolan, ma anche in qualche modo, aggiungeremmo noi, la saga di Bourne).
Quest’ultima avventura, infatti, da una parte mette a tema apertamente la necessità (vera o fasulla, è da decidere alla fine del film) di un “rinnovamento” (anche a costo di “rottamare” un glorioso passato, se possiamo permetterci questa parola diventata comune nel linguaggio politico), e per questo esibisce nuovi personaggi tutti da scoprire (quelli ottimamente impersonati dal giovane Ben Whishaw, un Q nerd e simpatico, e da Ralph Fiennes, funzionario dal passato misterioso), mescola cyber-terrorismo ad armi vecchia maniera (doppiette, pugnali, ma anche la vecchia gloriosa Aston Martin), ma soprattutto mette in discussione sia l’efficienza di Bond che il discernimento di M.
Ma il film non ha paura di mettere in campo anche un discorso sui “valori”: la lealtà messa alla prova, la fedeltà a un ideale anche di fronte all’estremo sacrificio, la legittimità di quel sacrificio, ritagliando un Bond tridimensionale, anche perché accompagnato da personaggi alla sua altezza. Il che non significa che la pellicola non sia anche un ottimo prodotto di intrattenimento: grande musica (a partire dai titoli “cantati” da Adele sullo sfondo delle solite geniali e suggestive ricerche grafiche a cui 007 ci ha abituato), grande azione ottimamente fotografata, belle donne e belle macchine, ironia pungente e a volte scorretta distribuita a piene mani come solo Bond si può permettere. 
Così si perdonano volentieri certe forzature della trama, qualche passaggio che forse non terrebbe a una stretta logica, ma che per noi spettatori fa solo parte di quel mondo senza tempo (ma non per questo fuori dal tempo) in cui bene e male, benché sempre ricchi di sfumature (quelle ombre di cui parla M), possono essere chiamati con il loro nome e l’ideale, rievocato dal Tennyson di cui sopra, riesce a conquistare anche l’anima dei più spietati pragmatici.

Luisa Cotta Ramosino

Sorridendo su... 007 
[Tratta dall'ACEC: Associazione Cattolica Esercenti Cinema
http://www.saledellacomunita.it/sale_della_comunita/tutte_le_vignette/00003889_Sorridendo_su_007.html]



13 novembre, 2012

Le nevi del kilimangiaro


Trama:
A Marsiglia, oggi. I nomi degli operai da licenziare sono stati estratti a sorte e Michel, rappresentante sindacale incaricato dell'operazione, ha inserito e sorteggiato anche il proprio. Senza lavoro, Michel è però felice accanto a Marie Claire, con la quale festeggia trenta anni di matrimonio, ai figli e ai nipoti. Una sera due uomini mascherati irrompono nella loro casa, legano i presenti, li derubano di tutto. Incredulo di fronte a questo episodio, Michel lo è anche di più quando scopre che uno dei malviventi è un ventenne, ex collega, anch'egli licenziato. D'istinto Michello lo denuncia, poi conosce meglio la sua situazione, sa che ormai non può evitargli una condanna e, d'intesa con la moglie, si adopra per rendere meno gravosa la pena che dovrà scontare.

Scheda:
Titolo originale: Les Neiges du Kilimandjaro
Nazione: Francia
Anno: 2011
Genere: Drammatico
Durata: 90'
Regia: Robert Guédiguian
Sito ufficiale: diaphana.fr/film/les-neiges-du-kilimandjaro
Sito italiano: www.sacherdistribuzione.it/nevi_kilimangiaro.html
Cast: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Grégoire Leprince-Ringuet, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin, Adrien Jolivet, Karole Rocher, Jacques Boudet, Gérard Meylan
Produzione: Agat Films & Cie, Ex Nihilo
Distribuzione: Sacher Distribuzione
Data di uscita: Cannes 2011
02 Dicembre 2011 (cinema)

Recensione:
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1692]
L’inizio è folgorante: siamo al porto di Marsiglia, e un sindacalista estrae da un’urna dei nomi; venti uomini, che capiamo subito essere altrettanti licenziati. Tra questi lo stesso sindacalista, Michel, che non ha voluto approfittare della situazione e ha voluto rischiare il posto come gli altri compagni. Triste, ma circondato dall’affetto di moglie, figli e nipoti, Michel festeggia con l’amata Claire i trent’anni di matrimonio: e si vede che si amano davvero teneramente, e festeggiano volentieri la loro unione davanti a parenti, amici e colleghi (tra cui i 19 licenziati, ma alcuni conosciuti da Michel a mala pena). Il regalo di figli e amici è una cassetta piena di soldi per un viaggio in Africa (da qui il titolo del film, che riprende il titolo della canzone di Pascal Danel che fa da leitmotiv): soldi che fanno gola a qualcuno, che irrompe a casa loro mentre sono a cena con la sorella di lei e suo marito, amico fraterno di Michel. Picchiati e umiliati, senza i soldi dell’agognato viaggio, Michel e Claire sono abbattuti. Ma il peggio deve ancora venire, quando Michel – militante vecchio stampo, cresciuto nel mito del martire socialista Jean Jaurès – scopre che uno dei due ladri è uno dei licenziati; che oltre tutto è un bravo ragazzo, che tira su i fratelli piccoli abbandonati dai genitori. Ormai la denuncia però è partita. Il senso di colpa inizia a tormentare i due coniugi…
Con Le nevi del Kilimangiaro (incredibilmente piazzato fuori dal concorso principale a Cannes 2011) Robert Guédiguian torna sui luoghi dei suoi film più noti (Marjus e Jeannette, La ville est tranquille, Marie-Jo e i suoi due amori) in cui canta la povera gente di Marsiglia, come un Ken Loach francese e ancora più arrabbiato, per quanto anche lui alterni dramma e commedia con abilità. Dopo alcuni film di diverso taglio (tra cui Le passeggiate al Campo di Marte su François Mitterand), torna appunto ai temi più cari, del lavoro e dell’appartenenza politica spesso tormentata. E stavolta centra il suo capolavoro, con questo film ispirato al poema di Victor Hugo Les pauvres gens; grazie anche ad attori bravissimi, dalla personale “musa” Ariane Ascaride all’ottimo Jean-Pierre Darroussin, a Gérard Meylan già visto altre volte nella sua filmografia; e grazie a un taglio meno schematico e ideologico di altre volte.
Sono tanti i cambi di direzione di un film che sembra partire dal dramma della perdita del lavoro ma poi si orienta sulle perdite di certezze: per Michel e Claire, come per la sorella sotto choc e il cognato arrabbiato, quell’irruzione di due ladruncoli è un bivio, davanti al quale decidere che fare della loro vita. Nutrire sentimenti di vendetta o perdonare? Agitare un paternalismo per un ragazzo che, in prigione, rischia una condanna a 15 anni eppure non solo non si scusa ma provoca e sbraita la sua rabbia verso “compagni” ormai imborghesiti? Vivere nel senso di colpa perché, pur in difficoltà, sono più garantiti di poveri veri, giovani e senza garanzie (“abbiamo combattuto anche per loro e ci odiano perché abbiamo un auto e una casa”)? Ci sono spunti buoni anche per l’attualità, in una crisi che attanaglia l’Europa e l’Occidente da anni e su una sinistra in cerca di soluzioni per contraddizioni sempre più gravi e drammatiche. Ma il cuore del film è nella reazione che scatta di fronte ai due fratellini del ladro, abbandonati da una madre che non vuole essere tale e lasciati soli a se stessi. Quei due bambini sono un pungolo per la coscienza. Impossibile non commuoversi di fronte alle prima timide, poi sempre più certe iniziative di Claire e poi Michel verso di loro; e verso se stessi, come di chi riscopre un cuore che rischiava l’assopimento. 
Il merito di Guédiguian è di evitare retorica e facili scorciatoie: senza voler rovinare la sorpresa di un film che è intessuto di tanti piccoli scarti e colpi di scena, è da sottolineare come il regista francese non rappresenti una realtà edulcorata ma vera, in cui i tentativi anche buoni vengono frustrati, in cui a ogni passo sicuro sembra alternarsi uno più incerto. E il lieto fine che ha infastidito alcuni non è tale. Perché per due amici che capiscono e cambiano sguardo di fronte alla situazione vissuta, ci sono figli che non accettano la generosità imprevedibile e disinteressata di genitori che sembrano alieni. Ma sono tanto più umani di loro. E consapevoli che stare bene nella propria realtà è più vero, e li rende più felici, di una fuga in un viaggio esotico. Soprattutto, il film ci interroga su un fatto tanto evidente quanto misconosciuto: anche dalla crisi può nascere qualcosa di buono, per chi si gioca completamente. Iniziando a scoprire cosa vale davvero, senza temere rivoluzioni nella propria vita.

Antonio Autieri





07 novembre, 2012

Cesare deve morire


Trama:
Roma, oggi. Nel teatro del carcere di Rebibbia si chiude la rappresentazione del Giulio Cesare di Shakespeare. Mentre gli 'attori' rientrano nelle rispettive celle, l'azione torna in flash back a sei mesi prima. Il regista teatrale Fabio Cavalli illustra ai detenuti il progetto della messa in scena del Giulio Cesare. Prima tappa, i provini. Seconda tappa: l'assegnazione dei ruoli. E di questi che nella finzione saranno Cesare, Bruto, Cassio si dice chi sono e a quali pene sono stati condannati. Poi cominciano le prove tra ansia e speranze, e arriva il momento in cui l'interpretazione di un personaggio fittizio si scontra con quello che si è e si è stati nella vita. Rabbia, ripicche, scontri verbali. Poi si va in scena, il pubblico segue con attenzione e alla fine applaude. Ed ecco di nuovo l'inizio con il rientro in cella.

Scheda:
Titolo originale: Cesare deve morire
Nazione: Italia
Anno: 2012
Genere: Documentario
Durata: 76'
Regia: Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Sito ufficiale: www.sacherdistribuzione.it/cesare_deve_morire.html
Cast: Cosimo Rega, Salvatore Striano, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca
Produzione: Kaos Cinematografica, Rai Cinema
Distribuzione: Sacher Distribuzione
Data di uscita: Berlino 2012
02 Marzo 2012 (cinema)

Recensione:
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1749]

Fresco vincitore dell'Orso d'Oro dal Festival di Berlino, il docufilm dei fratelli Taviani è una pellicola che sorprende e affascina con una vitalità e una rilevanza che sono ormai rare nel cinema italiano.
La messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare all’interno del carcere di Rebibbia ha per interpreti uomini che hanno sulle spalle pene che vanno fino all’ergastolo per delitti di mafia, camorra e similari, ed è raccontata attraverso un intenso bianco e nero che rappresenta una voluta mediazione rispetto al puro naturalismo documentaristico del colore.
Non un semplice documentario, dunque, ma nemmeno un film di finzione, l'esperimento dei Taviani è di quelli che sfidano lo spettatore a fare un incontro simile a quello che ha fatto nascere il progetto. Che è prima di tutto l’incontro dei registi, nel braccio di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, con un’esperienza messa in piedi dall’attore Fabio Cavalli, l’incontro con una materia umana dolorosa che è stata punto di partenza per trovare delle verità universali, ma anche per costruire una relazione affettiva con gli interpreti.
Di qui anche la scelta dell’opera da mettere in scena: secondo i Taviani “il Giulio Cesare ha il merito di contenere delle naturali consonanze con le esperienze del carcere: i concetti di potere, tradimento, congiura, omicidio sono parte dell’esperienza dei carcerati (ma anche della nostra), parte del loro dramma così come del dramma dei personaggi di Shakespeare”. 
Un’intuizione da cui sono nati, nel corso delle riprese, intensi rapporti umani, che per altro non fanno venire meno il giudizio su ciò che gli attori improvvisati hanno fatto. Il passato dei carcerati, il loro presente nella situazione drammatica delle carceri italiane di oggi, la prospettiva per il futuro (che per almeno alcuni di loro significa solo e sempre il carcere...) tutto diventa parte di questo lavoro. Il modo di espressione è diretto ed emotivo, soprattutto quando a recitare è un ex carcerato e oggi attore come Salvatore Striano (nel curriculum anche Gomorra e FortApasc), che nel film ha la parte di Bruto.
Non si tratta certamente di un film "facile", e tuttavia la sintesi operata rispetto al testo da rappresentare (di cui però vengono messi in scena alcuni passaggi chiave, quelli più familiari a un pubblico vasto), l'uso dei dialetti da parte degli interpreti, nonché le trovate nella scelta degli ambienti che fanno da sfondo alle varie scene (il cortile dell'ora d'aria, i corridoi e le scale, ma anche le celle con le loro finestre bloccate) rendono dinamica e interessante la costruzione. 
Senza mai cadere nel patetico i Taviani "tirano fuori" la verità dei personaggi Shakespeariani, così come quella dei carcerati e degli ex-carcerati diventati attori, sfidando il pubblico a intrecciare queste verità psicologiche (ma non solo) per trovare la propria personale interpretazione del testo e delle storie individuali.

Luisa Cotta Ramosino

Hotel Transylvania


Trama:
Il Conte Dracula gestisce un raffinato albergo per mostri nella sua Transylvania. Quando, un giorno, Van Helsing, un cacciatore di mostri bussa all'ingresso dell'albergo alla ricerca di una camera, coglie tutti di sorpresa. La sorpresa sarà ancora più grande, però, quando Van Helsing si innamora della figlia di Dracula, Mavis, che lo ricambia infrangendo il codice etico dei mostri. Quando i due ragazzi scoprono di essere "nemici" faranno di tutto per portare la pace fra i loro due mondi e poter, cos', vivere il loro amore serenamente...

Scheda:
Titolo originale: Hotel Transylvania
Nazione: U.S.A.
Anno: 2012
Genere: Animazione
Durata: 91'
Regia: Genndy Tartakovsky
Sito ufficiale: www.welcometohotelt.com
Cast (voci): Adam Sandler, Selena Gomez, Andy Samberg, Steve Buscemi, Kevin James, David Spade, Fran Drescher, Jon Lovitz, Molly Shannon, Cee-Lo Green, David Koechner
Produzione: Sony Pictures Animation
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Data di uscita: 08 Novembre 2012 (cinema)

Orari:
SABATO 10 NOVEMBRE: ore 17,45 - 21,15
DOMENICA 11 NOVEMBRE: ore 17,30 – 21,15
LUNEDI’ 12 NOVEMBRE:         ore 21,15

31 ottobre, 2012

Gladiatori di Roma


Trama:
Roma Imperiale. Rimasto orfano in seguito alla terribile eruzione di Pompei, il piccolo Timo viene adottato dal generale Chirone e cresciuto nell'Accademia di Gladiatori più famosa di Roma. Inizia così la storia di un grande eroe? Nemmeno per sogno, la vita da gladiatore non fa proprio per Timo, la cui unica aspirazione è spassarsela con gli amici Ciccius e Mauritius, sfuggendo alle bizzarre sessioni di allenamento del suo patrigno! Ma quando incontra la dolcissima Lucilla, Timo vuole dare una svolta alla propria vita per dimostrare tutto il valore che finora non ha mai avuto. Fra stregonerie, pazze scorribande nel bosco e i terribili addestramenti di una personal trainer (a dir poco ammaliante), l'impresa di Timo sarà quella di trasformarsi nel più grande gladiatore di tutti i tempi. E se a Roma si dice che "la Fortuna aiuta gli audaci"… per Timo si prevedono tempi durissimi!

Scheda:
Titolo originale: Gladiatori di Roma
Nazione: Italia
Anno: 2012
Genere: Animazione
Durata: 95'
Regia: Iginio Straffi
Sito ufficiale: www.gladiatorsofrome.com
Cast (voce): Julianne Hough, Luca Argentero, Laura Chiatti, Belen Rodriguez
Produzione: Rainbow S.r.l
Distribuzione: Medusa

Orari:
DOMENICA 4 NOVEMBRE: ore 17,30

Recensione:
[la potete leggere a questo indirizzo http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1911]

30 ottobre, 2012

Tutti i santi giorni

Trama:
Due protagonisti oggi ad Acilia, quartiere periferico di Roma. Guido, carattere riservato con una passione per la cultura latina classica, che avrebbe potuto aprirgli una bella carriera accademica, ha invece rinunciato per fare il portiere di notte in un grande albergo. Antonia è irrequieta, fin troppo vivace, appassionata di canzoni. Quando Guido torna a casa, lei esce e va al lavoro in un autonoleggio all'aeroporto. La sera canta in piccoli locali brani da lei stessa composti in lingua inglese. In queste occasioni il pubblico è volgare, distratto, rumoroso. Guido chiede rispetto ma va afinire male tra pugni e botte. Niente di grave, perché Guido e Antonia si amano.Quando il pensiero di avare un figlio si fa in loro più pressante, comincia qualche preoccupazione. Fanno ricorso ai medici: un ginecologo cattolico viene respinto con sufficienza da Antonia; in un ospedale pubblico la dottoressa è 'simpatica' ma i risultati non cambiano. Il dolore per una gravidanza che non arriva non attenua il loro affetto, anzi forse li induce a rafforzare il legame.

Scheda:

Titolo originale: Tutti i santi giorni
Nazione: Italia
Anno: 2012
Genere: Commedia
Durata: 102'
Regia: Paolo Virzì
Sito ufficiale: http://tuttiisantigiorni.libero.it
Cast: Micol Azzurro, Thony, Luca Marinelli, Katie McGovern, Fabio Gismondi, Robin Mugnaini, Donatella Barzini
Produzione: Motorino Amaranto
Distribuzione: 01 Distribution

Orari:
SABATO 3 NOVEMBRE: ore 21,15
DOMENICA 4 NOVEMBRE: ore 17,30 – 21,15
LUNEDI’ 5 NOVEMBRE: ore 21,15

Recensione:
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1891]

Guido e Antonia sono diversi e innamoratissimi: lui colto, timido, gentile; lei ignorante, permalosa, irascibile. Convivono da un po’ e, pur nella loro precarietà (lui lavora come portiere di notte in un albergo, lei in un’agenzia di noleggio auto, si incrociano solo di mattina presto, la casa è piccolissima) vorrebbero “fare” un figlio. Perché si amano, alla follia. Ma il figlio non arriva. E invece arrivano problemi, tensioni, equivoci, che mettono a rischio il loro amore.
Non è scontato e immediato entrare in sintonia, a causa di situazioni fin troppo sopra le righe che a tratti potrebbero infastidire, con il nuovo film di Paolo Virzì, liberamente ispirato al romanzo La generazione di Simone Lenzi, che ha collaborato alla sceneggiatura con lo stesso Virzì e con il suo fidato storico cosceneggiatore Francesco Bruni (che ha esordito nella regia con Scialla!). Il
regista livornese sembra tornare sui passi consueti: da vent’anni ormai propone le sue storie di personaggi fuori posto e vitalissimi, scostumati e sopra le righe ma sempre con un grande cuore: a volte con esiti più felici (Ferie d’agosto e La prima cosa bella, ma il suo miglior film rimane Ovosodo, 1997), a volte con buone idee che si fermano a metà strada (Baci e abbracci, My name is Tanino, Tutta la vita davanti). Ma l’autore livornese disegna sempre personaggi, soprattutto giovani, che fanno simpatia, grazie anche alla grande capacità di valorizzare gli attori. Qui trova nel giovane Luca Marinelli (apprezzato in La solitudine dei numeri primi) e nell’esordiente Thony (una cantante siciliana scovata su Internet, che porta in dote al film anche il suo talento musicale) una coppia fresca e convincente, che rende credibile una divertente, incasinata e tenera storia d’amore dei nostri giorni.
Per questo gli si perdona volentieri qualche personaggio meno definito (i rozzi vicini di casa e i loro amici), qualche situazione un po’ scontata, qualche volgarità di linguaggio e di gag (come le solite situazioni nella clinica per uomini che temono di essere sterili). E non solo per i tanti ritratti gustosi (le famiglie, così diverse, di lei e di lui) e le non poche battute riuscite. Ma soprattutto quando, dopo una sbandata di Antonia che ritrova un suo vecchio compagno di musica e di vita (un cantante punk velleitario e dall’esistenza a dir poco disordinata) si capisce dove va a parare la storia di Guido e Antonia. Non in un vicolo cieco: anzi, in una promessa che – in un finale molto bello – invera la prima intuizione di un classico colpo di fulmine (che bello quel flashback che mostra il loro primo incontro), e tiene dentro errori e limiti. E non è poco sentire, in tempi di presunta autonomia individuale, una ragazza che dice «stammi vicino sempre, perché non ce la faccio».

Antonio Autieri





23 ottobre, 2012

L’Arte di Vincere


Trama:
Il film è basato sulla storia vera di Billy Beane (Brad Pitt). All'inizio della carriera, la sua aspirazione era quella di diventare un eroe del baseball ma, dopo numerose delusioni e fallimenti sul campo, Beane decide di rivolgere la sua forte natura competitiva al management. Durante la stagione 2002, Billy si trova ad affrontare una difficilissima situazione: la sua squadra, la Oakland A's ha perso (nuovamente) i giocatori migliori che passano a club più importanti dietro offerta di salari enormi: Billy è costretto, quindi, a ricostruire la sua squadra avendo a disposizione un terzo della busta paga per i suoi giocatori.
Deciso a vincere, Billy cerca di cambiare il sistema e sfida le regole fondamentali del gioco. Cerca la soluzione al di fuori del mondo del baseball, studia le teorie ormai abbandonate di Bill James e ingaggia Peter Brand (Jonah Hill), un intelligente economista "macina-numeri" che ha studiato a Yale. I due mettono insieme saggezza e volontà di esaminare ogni dettaglio grazie ad analisi statistiche computerizzate ignorate completamente dalle organizzazioni del baseball. Così facendo, arrivano a conclusioni che sfidano ogni tipo di immaginazione e ricercano giocatori dimenticati dal mondo del baseball o perché troppo strani, o perché venivano considerati già vecchi, o avevano subito infortuni o avevano creato troppi problemi. Nonostante tali caratteristiche, però, questi ragazzi possiedono ancora grosse capacità sottovalutate dagli altri. Mentre Billy e Peter continuano sulla loro strada, i loro metodi nuovi irritano la vecchia guardia, i media, i tifosi e il loro allenatore (Philip Seymour Hoffman), che si rifiuta di collaborare con loro. In definitiva questo esperimento porterà non solo ad un cambiamento del modo in cui si svolge il gioco, ma, anche, ad un risultato che darà a Billy una nuova consapevolezza che trascende il gioco e lo trascinerà in altre situazioni ...

Scheda:
Titolo originale: Moneyball
Nazione: U.S.A.
Anno: 2011
Genere: Biografico, Drammatico, Sportivo
Durata: 133'
Regia: Bennett Miller
Sito ufficiale: http://www.moneyball-movie.com/
Cast: Brad Pitt, Jonah Hill, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Chris Pratt
Produzione: Film Rites, Michael De Luca Productions, Scott Rudin Productions, Specialty Films (II)
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Data di uscita: 27 Gennaio 2012 (cinema)

Recensione
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1719]

Continuando nel percorso di crescita artistica degli ultimi anni, Brad Pitt dimostra film dopo film che non è più solo il divo capace di far innamorare legioni di spettatrici e di attirare lettrici di rotocalchi con le sue vicende personali. Dopo la superba prova in The Tree of Life, in Moneyball – rititolato per l’Italia L’arte di vincere – cesella forse la sua interpretazione più bella e sentita, che gli ha regalato una nomination all’Oscar. D’altronde il personaggio di Billy Beane, manager di una squadra di baseball, è di quelli in cui ogni grande attore americano vorrebbe cimentarsi. E si giova di una sceneggiatura perfetta (scritta da Aaron Sorkin, talentuoso autore dello script di The social network, insieme a Steven Zaillian), con dialoghi formidabili. Se si aggiunge un cast di prim’ordine, con attori non tutti famosi ma ispirati e affiatati (da citare almeno Philip Seymour Hoffman e il giovane Jonah Hill), ne viene fuori un piccolo ma intelligente e apprezzabilissimo film, caratterizzato dallo di stile nervoso e intenso della regia di Bennett Miller (che esordì in Truman Capote – A sangue freddo).
Gli Oakland Athletics sono la Cenerentola della Major League, il maggiore campionato di baseball americano. Billy Beane si trova ad affrontare la crisi della squadra, cui società più ricche e potenti portano via campioni e talenti, e dal fatto che il proprietario non è disposto a investire ulteriormente. La sua vita privata non va meglio: separato dalla moglie, che vive con un altro uomo, vede poco la figlia; e di questo soffre molto (che bella la scena in cui lui si commuove per la figlia che canta). 
La scossa, professionale e personale, arriva quando Billy incontra il giovane Peter Brand, maniaco della statistica applicata alle performance sportive: il manager, dalle intuizioni geniali e dal brutto carattere, lo impone in società di fronte a collaboratori vecchi, pigri e indolenti che ironizzano su quel ragazzone timido e intelligente, in cui Billy vede un grande potenziale. Come sa trovarlo in giocatori poco famosi (e poco costosi) su cui decide di puntare, comprandoli per pochi dollari e facendoli sentire importanti nella propria squadra. È questo il talento di Billy Beane: valorizzare quel che per altri è uno scarto, stimolare le capacità (anche bruscamente) di giovani promesse, dare una seconda possibilità. Ma per chi non accetta la sua sfrenata tensione al miglioramento, si apre velocemente e senza complimenti la porta dell’uscita. Rivoltando di continuo la squadra e raddrizzando i conti della società, Beane butta sul tavolo la sua capacità di affascinare il prossimo e di educare e far sviluppare il talento (che divertimento c’è a comprare un campione già pronto?), ma anche la sua abilità di bluffare nelle trattative di mercato. In questo modo, una squadra di perdenti inizia a inanellare successi e risalire la classifica dall’ultimo posto alle prime posizioni. E dopo un record incredibile di venti vittorie di fila, per gli Oakland Athletics si avvicina l’ipotesi di vincere un impossibile titolo di campione nazionale della stagione 2002…
Storia vera di un personaggio diventato famoso negli Usa come nel calcio europeo possono essere Josè Mourinho o l’inglese Brian Clough (allenatore inglese immortalato nel bel film Il maledetto United), L’arte di vincere non è solo un film sullo sport (si vede poco baseball, ed è una scelta azzeccata), se non come ambito in cui si impara a vincere e a perdere, quindi a vivere. È la storia di un uomo perennemente sul ciglio del burrone, roso da inquietudini e ossessioni (c’entra anche il suo passato, di grande talento che si perse per strada: un sogno diventato un incubo), sofferenze e scatti d’ira (memorabile una sfuriata ai giocatori dopo una sconfitta, negli spogliatoi), ma incapace di arrendersi di fronte alle difficoltà quanto di sentirsi appagato da vittorie che non gli leniscono le ferite dell’anima. Un uomo, in fondo, molto meno cinico di quanto vorrebbe far credere: “È dura non essere romantici col baseball…” afferma Billy/Brad. Una frase che, peraltro, sta bene per qualsiasi sport.

Antonio Autieri










Il comandante e la cicogna



Trama:
Leo è un idraulico che ogni giorno affronta l’impresa di crescere due figli adolescenti, Elia e Maddalena, dividendosi tra il lavoro con l’aiutante cinese Fiorenzo e le incombenze di casa - dove la moglie Teresa, stravagante e affettuosa, compare e scompare. Diana è un’artista sognatrice e squattrinata che - in attesa della grande occasione della sua vita - fatica a pagare l’affitto. Suo proprietario di casa è Amanzio, originale moralizzatore urbano che ha lasciato il lavoro per un nuovo stile di vita e che in una delle sue crociate conosce Elia, con il quale stringe una stramba amicizia. Leo e Diana s’incontrano da Malaffano, un avvocato strafottente e truffaldino. Leo capita nel suo studio quando scopre che la figlia è protagonista suo malgrado di un video erotico su internet, Diana è già da un po’ che passa lì le sue giornate, costretta per necessità economiche ad affrescare una parete, assecondando le ridicole manie di grandezza dell’avvocato.

Scheda:
Titolo originale: Il comandante e la cicogna
Nazione: Italia, Svizzera, Francia
Anno: 2012
Genere: Commedia
Durata: 108'
Regia: Silvio Soldini
Sito ufficiale: corriere.it/ilcomandanteelacicogna
Cast: Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Claudia Gerini, Giuseppe Battiston, Luca Zingaretti, Maria Paiato, Michele Maganza, Serena Pinto, Shi Yang, Luca Dirodi, Giselda Volodi, Giuseppe Cederna, Fausto Russo Alesi
Produzione: Lumière & Company, RSI-Radiotelevisione Svizzera, Ventura Film
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

Orari:
SABATO 27 OTTOBRE: ore 21,15
DOMENICA 28 OTTOBRE: ore 17,30 – 21,15
LUNEDI’ 29 OTTOBRE: ore 21,15

Recensione
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=1905]

Leo è un idraulico, che vive con i due figli adolescenti: Maddalena fin troppo esuberante con i ragazzi (e per colpa di uno finirà su Internet mentre fa cose innominabili), Elia goffo e curioso. Per il padre, che lamenta alla moglie (una presenza intermittente, anche se regolare…) di averlo lasciato solo ad affrontare le fatiche della vita, è dura tra problemi pratici e confusione anarchica in cui la casa e i loro rapporti sembrano abbandonati. E lui non è certo uomo d’ordine… Elia fa amicizia con uno strano adulto di nome Amanzio, che si vanta di non lavorare da anni e di campare solo con l’affitto di una casa di proprietà, tira fuori sentenze sagge e scombiccherate al tempo stesso e intanto studia le lingue straniere per poter comunicare con “signorine” di varia nazionalità… Con Amanzio è in difficoltà Diana, artista squattrinata che deve al “filosofico” padrone di casa mesi di affitto arretrato e intanto cerca di farsi pagare per i propri lavori. L’ultimo, da un avvocato spregiudicato. Che a un certo punto avrà bisogno di un onest’uomo come prestanome per un affare losco, a insaputa del prestanome… E chi meglio di Leo, che cerca giusto un avvocato per far cancellare il video della figlia da Internet? In quello studio conosce l’artista Diana, e dovranno far finta per il losco affare – costretti dall’avvocato con modi suadenti – di essere sposati… 
Silvio Soldini torna alla commedia surreale, tra Pane e tulipani e il meno riuscito Agata e la tempesta. Anzi: Il comandante e la cicogna, come sostiene lo stesso regista, è il suo film più surreale, e anche divertente; a tratti si ride molto, e di gusto. I vari personaggi che si incrociano e che finiscono per interagire in modo buffo e a momenti esilarante, sono abbastanza stereotipati ma anche ben disegnati e soprattutto interpretati da attori in gran forma: Valerio Mastandrea, che inanella ottime prove una dopo l’altra, è tenero e impacciato quanto il figlio adolescente (il giovanissimo Luca Dirodi, promettente), Claudia Gerini ha un ruolo piccolo ma sostanzioso, Luca Zingaretti – acconciato come Diego Della Valle – è un avvocato senza scrupoli disegnato con humour e classe, Giuseppe Battiston è un Amanzio dai tempi comici perfetti; ma la vera sorpresa, per quanto la sua bravura sia ormai nota, è la versatilità di un’Alba Rohrwacher che non ha mai avuta una chance comica come in questo caso, e la sfrutta al meglio cancellando dubbi sul suo rischio di cristallizzarsi in una maschera drammatica. 
Sceneggiato da Soldini con Doriana Leondeff e Marco Pettenello, il film è garbato e leggero, forse un po’ troppo (l’impressione di un futile divertissment aleggia a più riprese), ma ha un umorismo che ricorda le atmosfere di certi film di Kaurismaki; in cui una parte importante la rivestono la cicogna del titolo di nome Agostina e un bel viaggio finale in cui si ritrovano vari personaggi. Senza magari dire niente di nuovo e magari peccando di profondità (il rapporto del padre con i figli è un po’ piatto, i dialoghi con la moglie un po’ scontati, la seconda occasione amorosa è molto prevedibile), ma confezionando un buon film di comicità chic, per palati fini. Quel che compromette però in parte l’operazione, e la rende incomprensibilmente e inutilmente pesante, è la cornice con le statue parlanti, tra cui il “comandante” ovvero Giuseppe Garibaldi, che insieme a quella di Giacomo Leopardi, Giuseppe Verdi e di un inventato, odioso “cavalier” Cazzaniga, servono solo a orchestrare una patetica predica sui guasti dell’Italia e sulle disastrate condizioni del Paese (che inciderebbero sui personaggi: ma questo nel film è raccontato con leggerezza). Va bene, l’autore pensa (legittimamente, per carità) che siamo immersi nel marcio e facciamo pure un po’ ribrezzo (le tante scorrettezze, la litigata per un parcheggio). Ma mettere in bocca a Garibaldi che si è pentito di aver unito l’Italia, per favore no… Se al montaggio qualche mano pietosa avesse deciso di eliminare tale cornice posticcia, il film ne avrebbe guadagnato assai. Senza contare che se le vite dei protagonisti – da cui pure trapela il comprensibile disagio per i mali della contemporaneità – si aprivano alla speranza, la statua parlante dell’eroe dei due mondi la richiude subito…

Antonio Autieri