27 marzo, 2012

The Iron lady

Trama:
Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico, ormai ottantenne, fa colazione nella sua casa in Chester Square, a Londra. Malgrado suo marito Denis sia morto da diversi anni, la decisione di sgombrare finalmente il suo guardaroba risveglia in lei un'enorme ondata di ricordi. Al punto che, proprio mentre si accinge a dare inizio alla sua giornata, Denis le appare, vero come quando era in vita: leale, amorevole e dispettoso. Lo staff di Margaret manifesta preoccupazione a sua figlia, Carol Thatcher, per l'apparente confusione tra passato e presente dell'anziana donna. Preoccupazione che non fa che aumentare quando, durante la cena che ha organizzato quella sera, Margaret intrattiene i suoi ospiti incantandoli come sempre, ma a un bel momento si distrae rievocando la cena durante la quale conobbe Denis 60 anni prima. Alla fine della serata, Margaret si ritira nella sua stanza, ma non riesce a prendere sonno. Si alza dal letto e si mette a guardare alcuni vecchi filmini di famiglia, riflettendo sui sacrifici che ha dovuto compiere nella vita privata per perseguire la carriera politica. Il giorno dopo, Carol convince sua madre a farsi vedere da un dottore. Margaret sostiene di stare benissimo e non rivela al medico che i vividi ricordi dei momenti salienti della sua vita stanno invadendo le sue giornate nelle ore di veglia. Di ritorno a Chester Square, Margaret lotta contro l'incessante rievocazione del passato. Impacchetta gli effetti personali di Denis e ribadisce la sua autonomia: certo, i ricordi l'accompagneranno sempre, ma ha anche la sua vita nel presente, meno ricca rispetto a prima, ma non meno degna di essere vissuta. 

Scheda:
Titolo originale: The Iron Lady
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 2011
Genere: Drammatico, Biografico
Durata: 104'
Regia: Phyllida Lloyd
Sito ufficiale: www.theironladymovie.co.uk
Cast: Meryl Streep, Jim Broadbent, Anthony Head, Richard E. Grant, Roger Allam, Olivia Colman, Nick Dunning, Julian Wadham
Produzione: Film4, Pathé, UK Film Council
Distribuzione: Bim Distribuzione

Orari:
Sabato 
 31 mar
 21,15
Domenica 
 01 apr
 17,30 - 21,15
Lunedì 
 02 apr
 no


Recensione
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it]

È una donna anziana qualunque, quella che la mattina entra in un negozio per comprare il latte, stupendosi di quanto sia salito il prezzo. Ma è al suo ritorno a casa, con lo scompiglio che ne segue tra assistenti e militari che non si sono accorti della passeggiata, che la signora si rivela per quello che è: Margaret Thatcher, protagonista della scena politica degli anni '80; la donna che ha rivoluzionato la Gran Bretagna, riuscendo a essere rieletta per ben tre volte (nonostante l’opposizione più feroce della storia moderna del paese), ora è una persona che fatica a essere presente a se stessa e che alterna momenti di feroce lucidità ad altri in cui immagina di parlare con Denis (Jim Broadbent), il marito ormai deceduto da anni. 
Argomento non facile, quello del film diretto da Phyllida Lloyd (già regista del film musicale Mamma mia!): parlare di fatti e persone ancora vicinissimi a noi, che hanno compiuto gesti le cui conseguenze sono ancora determinanti nella politica contemporanea, specie se, come nel caso del film, la protagonista è ancora vivente, anche se da tempo ritirata discretamente a vita privata. Riuscire a muoversi sul crinale della storia, senza cadere nell’invettiva o (ancor peggio) nell’agiografia non è facile. In questo caso bisogna dire che tutto il merito va a Meryl Streep. L’attrice, pur essendo americana, non solo padroneggia perfettamente toni e inflessioni di una donna inglese, ma “entra” sorprendentemente nella parte, con una trasformazione somatica impressionante (onore ai responsabili del make-up: in altri film, come il recente J. Edgar di Eastwood, il risultato non è stato altrettanto felice). Il film abbraccia tutta la carriera dell’ex primadonna della politica del Regno Unito, dalla partecipazione giovanile ai comizi del padre sindaco, alla decisione di candidarsi (perdendo) e poi di ripresentarsi alla Camera dei Comuni per il Partito Conservatore; all’incontro con un giovane e spiritoso Denis Thatcher, che ben sapeva di sposare una donna che avrebbe sacrificato tutto (a partire dall’affetto per i figli) alla sua volontà di dedicarsi alla politica (bravi anche Alexandra Roach e Harry Lloyd, che interpretano la coppia in gioventù). Sul resto, fatto salvo quanto già detto sugli interpreti, il film risulta un po’ monocorde: tutti i caratteri appaiono poco più che figuranti, schiacciati come sono dalla presenza della Streep/Thatcher, che si muove come un panzer per tutta la durata del film senza dare molte possibilità interlocutorie a chi le sta intorno. Forse le scene più interessanti sono proprio quelle che si svolgono nel Parlamento, dove lo scontro dialettico mostra anche gli avversari laburisti, prima convinti di poter agevolmente sovrastare una donna dai toni un po’ queruli; poi sovrastati a loro volta dalla determinazione e dalla pervicacia di quella che era definita dai suoi stessi colleghi di partito “la figlia del droghiere”.

Beppe Musicco



20 marzo, 2012

Posti in piedi in paradiso


Trama:
Ulisse (Carlo Verdone), Fulvio (Pierfrancesco Favino) e Domenico (Marco Giallini) sono tre padri separati costretti a versare quasi tutto quello che guadagnano in alimenti e spese di mantenimento per ex mogli e figli. Un tempo stimati professionisti, tutti e tre vivono ora in grandi difficoltà economiche e si ritrovano a sbarcare il lunario come possono. Ulisse, un ex discografico di successo, vive nel retro del suo negozio di vinili e arrotonda le scarse entrate vendendo "memorabilia" su e-bay. Ha una figlia, Agnese (Maria Luisa De Crescenzo), che vive a Parigi con la madre Claire (Diane Fleri), un’ex cantante. Fulvio, ex critico cinematografico, scrive di gossip e vive presso un convitto di religiose. Anche lui ha una bambina, di tre anni, che non vede quasi mai a causa del pessimo rapporto con l’ex moglie Lorenza (Nicoletta Romanoff). Domenico, in passato ricco imprenditore, è oggi un agente immobiliare che dorme sulla barca di un amico e, per mantenere ben due famiglie, fa il gigolo con le signore di una certa età. Ha un rapporto conflittuale con i due figli più grandi ed è perennemente in ritardo con gli alimenti da versare alla sua ex moglie e all’ex amante Marisa (Valentina D’Agostino), da cui ha avuto un’altra figlia. Dopo un incontro casuale, durante la ricerca di una casa in affitto, Domenico realizza di avere incontrato due poveracci come lui e propone ad Ulisse e Fulvio di andare a vivere insieme per dividere le spese di un appartamento. Inizia così la loro convivenza e la loro amicizia. Una sera, dopo uno dei suoi "tour de force" amatori, Domenico si sente male. Preoccupati, Ulisse e Fulvio chiamano il pronto intervento. Arriva Gloria (Micaela Ramazzotti), una cardiologa che, mollata su due piedi poco prima dal fidanzato, si presenta ai tre in uno stato pietoso. Tra lei ed Ulisse nasce fin da subito una particolare sintonia. Insomma un incontro perfetto tra due disastri nelle relazioni sentimentali. Anche Fulvio ha un incontro folgorante, con Gaia (Nadir Caselli), una starlette tanto bella ed attraente quanto superficiale ed arrivista. Purtroppo la situazione economica dei tre amici peggiora sempre di più! Dopo una serie di avventure tragicomiche, per i tre uomini giunge il momento di fare i conti con le proprie responsabilità. In loro aiuto arriveranno i figli. Nonostante il trauma della lontananza dai rispettivi padri e un rapporto spesso tormentato, saranno loro la chiave di volta che consentirà a Ulisse, Fulvio e Domenico di riprendere in mano la propria vita e di intravedere finalmente uno spiraglio di "Paradiso"…

Scheda:

Titolo originale: Posti in piedi in paradiso
Nazione: Italia
Anno: 2012
Genere: Commedia
Durata: 119'
Regia: Carlo Verdone
Sito ufficiale: www.postinpiediinparadiso.it
Cast: Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff, Nadir Caselli, Diane Fleri
Produzione: Filmauro
Distribuzione: Filmauro

Orari:

Sabato 
 24 mar
 21,15
Domenica 
 25 mar
 17,30 - 21,15
Lunedì 
 26 mar
 21,15




Recensione
[tratta da http://www.loccidentale.it/node/114088]

Carlo Verdone dopo alti e bassi, successi e appannamenti, torna a girare una commedia davvero eccellente. “Posti in piedi in paradiso” ci libera al contempo da giovanilismi, derivazioni televisive, scelleratezze e sconcezze, meridionalismi e settentrionalismi. Protagonisti del film sono tre sciagurati, affannati da esistenze sbagliate di lavoratori, mariti e padri di famiglia. I tre, date le ristrettezze, si trovano costretti a condividere un appartamento malmesso a Roma. Non sono più ragazzi.
Il primo, Ulisse (Carlo Verdone), faceva il produttore discografico; ora sbarca il lunario vendendo dischi in vinile, con una moglie e una figlia quasi diciottenne, che vivono a Parigi. Il secondo, Fulvio (Pierfrancesco Favino), era un promettente critico cinematografico; ora si deve accontentare di scribacchiare di cronaca rosa e “gossip”, rimpiangendo la moglie a la piccola figlia, lasciate a causa di un tradimento con la moglie del capo-redattore, che gli è costato anche il declassamento lavorativo. Il terzo, Domenico (Marco Giallini), era un imprenditore; ora gestisce malamente un’agenzia immobiliare, ha due figli grandi (uno perfetto, bravo ragazzo e brillante laureando; l’altra un disastro di volgarità e immaturità) e una piccola (avuta con un’altra donna).
Tre uomini molto diversi, costretti a condividere il tetto per risparmiare, legati da infelicità, debolezze e rimpianti. La commedia aveva bisogno di addolcirsi con la presenza femminile. Le debolezze del cuore di Domenico la fanno entrare in scena. Al suo capezzale accorre Gloria (Micaela Ramazzotti), cardiologa carina quanto svampita, appena abbandonata dal più maturo fidanzato e in preda ad una crisi di nervi. Adesso il quadro è completo. Resta comunque l’esistenza dei tre giovani-vecchi, assai dura, tra conti da pagare, alimenti famigliari da onorare, ristrettezze economiche da nascondere.
Ogni giorno è un vortice di peripezie, bugie, promesse, astuzie e meschinità. I tre hanno perso, per motivi assai diversi, mogli, figli, famiglie. Una condizione esistenziale sin troppo comune nella vita moderna. Ulisse, pignolo e rompiscatole, è stato vittima degli eventi per troppo amore; Fulvio, faccia pulita dietro la quale si nasconde ben altro, è stato davvero sfortunato; Domenico, un cialtrone a tutto tondo, è privo di giustificazioni.
Verdone guarda con estrema bontà a questi tre padri, mariti, professionisti  disgraziati, partiti con grandi speranze e trovatisi a dover gestire problemi più grandi di loro. Li ritrae con simpatia, benevolenza e umorismo. I meccanismi della commedia sono perfetti. Si ride dalla prima all’ultima inquadratura, con un paio di momenti esilaranti. La trivialità e gli ammiccamenti sessuali sono banditi, così com’era abitudine nella migliore commedia italiana.
Sulle prime “Posti in piedi in paradiso” potrebbe apparire un film sulla crisi economica. In realtà è un film sulla crisi di sentimenti e di valori. Crisi contrastata da Verdone con un finale che, oltre a rappresentare un evidente elogio dell’amicizia e della solidarietà, è un invito al perdono e alla riconciliazione tra padri e figli. A molti commentatori questo finale è apparso posticcio: un messaggio consolatorio e furbesco per assolvere i padri dalle loro colpe e mondarli di ogni peccato. Invece non lo è.
Il percorso di Verdone nella commedia italiana, ormai della durata trentennale (ha esordito nella regia nel 1980 con “Un sacco bello”), ha lambito sempre l’apologo etico, talvolta sfiorandolo, talvolta fallendo il bersaglio. “Posti in piedi in paradiso” è un tentativo di meditazione, divertente e leggera, attorno alla tematica del perdono e della riconciliazione, in senso cristiano, oltreché di comprensione dei limiti della persona umana e di accettazione della vita. Accettazione della vita nonostante crisi economiche e barriere culturali. Vale più l’arrivo di una nuova vita o un prezioso cinturone appartenuto a Jim Morrison? La risposta sta nel finale.        

di Claudio Siniscalchi



13 marzo, 2012

Paradiso amaro


Trama:
Quando sua moglie entra in coma in seguito ad un incidente in barca al largo di Waikiki, Matt King (George Clooney), padre di due figlie, dovrà riesaminare il proprio passato e affrontare gli imprevisti del futuro. Rimasto solo, cercherà di ricucire il rapporto con le figlie, la matura Scottie (Amara Miller) di 10 anni e la ribelle Alexandra (Shailene Woodley) di 17, dovendo allo stesso tempo decidere se vendere o meno la terra di famiglia, una striscia di spiaggia tropicale di inestimabile valore, che la famiglia King ha ereditato dai reali hawaiani e dai missionari.
Quando Alexandra rivela al padre che la madre, al momento dell'incidente, si trovava con il suo amante, Matt inizia a riflettere sulla sua vita e capisce che deve darle una svolta. Insieme alle due figlie intraprende un viaggio avventuroso alla ricerca dell'amante della moglie, durante il quale inizierà a ricostruire la sua vita e la sua famiglia.

Scheda:

Titolo originale: The Descendants
Nazione: U.S.A.
Anno: 2011
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 110'
Regia: Alexander Payne
Sito ufficiale: www.foxsearchlight.com/thedescendants
Cast: George Clooney, Shailene Woodley, Amara Miller, Nick Krause, Patricia Hastie, Grace A. Cruz, Kim Gennaula, Karen Kuioka Hironaga, Carmen Kaichi, Kaui Hart Hemmings, Beau Bridges, Matt Corboy
Produzione: Ad Hominem Enterprises
Distribuzione: Twentieth Century Fox


Orari:

Sabato 
 17 mar
 21,15
Domenica 
 18 mar
 17,30 - 21,15
Lunedì 
 19 mar
 21,15



Recensione
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it]

Elizabeth è una donna solare, bella, dinamica, che fa sci nautico. O meglio, lo era. Quelle poche immagini che vediamo di lei precedono l’incidente che la riduce in coma, attaccata a macchine che la mantengono in vita (e c’è di mezzo anche un testamento biologico da lei sottoscritto a suo tempo). Di fronte a lei, al suo capezzale, fa i conti con la loro unione il marito Matt King, ricco avvocato troppo dedito al lavoro con notevoli possedimenti alle Hawaii di cui la famiglia da secoli si tramanda la proprietà. I due non si parlavano più, prima dell’incidente: ma che cosa ha portato a questa situazione? E ora, quest’uomo di mezza età che pian piano scopre segreti che svelano squarci imprevedibili e non immaginati prima, come può affrontare la nuova situazione, che lo vede padre di due figlie (una bambina di 10 anni e un’adolescente ribelle e già fuori casa, al college) con cui lui non si è mai coinvolto troppo, concependosi come un pavido genitore “di riserva“? Con loro, che ora per la prima volta poggiano completamente su di lui, dovrà ripartire ricostruendo dalle macerie una famiglia.
Nonostante alcune sottolineature ironiche e a tratti perfino comiche, è un film dolente e profondo Paradiso amaro, titolo italiano che si riferisce a quel paradiso per turisti che dovrebbe diventare l’enorme proprietà – parte dell’isola di Kauai, nell’arcipelago delle Hawaii – di cui Matt e la variegata tribù dei suoi parenti vorrebbero disfarsi per far soldi facili (mentre il titolo originario The Descendants, più bello, richiama le origini secolari della loro famiglia di origini principesche). Ma è un paradiso per modo di dire, rappresentato in modo crepuscolare e “grigio” come in fondo lo è il protagonista. Nella sua opera più matura Alexander Payne, campione del cinema americano “indipendente”, conferma di guardare più ai modelli europei che a quelli hollywoodiani, con le sue storie di perdenti o uomini in crisi e senza certezze (A proposito di Schmidt con Jack Nicholson, Sideways con Paul Giamatti) costretti dalla vita a reagire alle avversità e prima ancora alla propria inadeguatezza. Matt, interpretato da un George Clooney più goffo che affascinante in uno dei suoi ruoli migliori (che gli è valso un Golden Globe e la candidatura agli Oscar), è un uomo sul punto di perdersi ma che al termine di un percorso doloroso – con tanto di viaggio rivelatore, come da topos cinematografico – che rischia di vederlo soccombere si ritrova ferito ma non distrutto, ricostruito dal rapporto con due figlie che quasi non sapeva di avere. E anche dalla scoperta del valore delle proprie scelte: la scelta tra una comoda e pigra ricchezza e un’eredità da preservare, tra il vittimismo e l’ammissione dei propri errori. Soprattutto, tra l’odio e il perdono: una scelta che può permettere di riemergere e
non veder svanire l’amore per la propria donna, in un finale che non può non commuovere e che arricchisce un film di rara sensibilità.

Antonio Autieri





06 marzo, 2012

Hugo Cabret


Trama:
Hugo Cabret racconta l'avventura di un ragazzino dalle mille risorse, il cui tentativo di scoprire un segreto che riguarda suo padre produrrà una profonda trasformazione in lui e nelle persone che lo circondano, conducendolo in un luogo caldo e sicuro che potrà finalmente chiamare "casa". Hugo Cabret è la storia di un ragazzino orfano che vive in una stazione ferroviaria parigina negli anni '30. Dopo essersi imbattuto in un macchinario da ricostruire, Hugo entrerà in contatto con un misterioso gestore di un negozio di giocattoli, finendo risucchiato in una magica avventura.

Scheda:

Titolo originale: Hugo Cabret
Nazione: U.S.A.
Anno: 2011
Genere: Fantastico, Avventura
Durata: 126'
Regia: Martin Scorsese
Sito ufficiale: www.hugomovie.com
Cast: Chloe Moretz, Jude Law, Ben Kingsley, Emily Mortimer, Sacha Baron Cohen, Michael Pitt, Christopher Lee, Ray Winstone, Michael Stuhlbarg, Helen McCrory, Asa Butterfield
Produzione: GK Films, Infinitum Nihil
Distribuzione: 01 Distribution

Orari:
Sabato 
 10 mar
 21,15
Domenica 
 11 mar
 17,30 - 21,15
Lunedì 
 12 mar
 21,15

Recensione
[tratta da http://www.sentieridelcinema.it]

Non sembri bizzarro, a chi conosce la filmografia di Martin Scorsese, che il regista di Taxi Driver e Toro Scatenato abbia girato un film (all’apparenza) per bambini. Hugo Cabret è molto di più e al tempo stesso è il meraviglioso tributo - creato con tutti i ferri del mestiere a propria disposizione - dell’affetto che un artista può mostrare per un maestro. Scorsese prende la storia di un orfanello che vive nascosto in una stazione ferroviaria della Parigi degli anni 30 e riesce a ricreare l’atmosfera del tempo, il fascino (esplicito e misterioso al tempo stesso) che hanno tutte le stazioni del mondo; ma anche il senso dell’avventura, l’amicizia, la struggente nostalgia di un bambino che ha perso i genitori e – last but not least – l’incredibile presa che il cinema dimostra da sempre di avere sulle persone di tutte le età. Senza disdegnare il 3D, Scorsese dimostra a settant’anni che si può essere curiosi e audaci, rimettendosi in discussione e accettando (vincendo) la sfida della tecnologia; la tridimensionalità del film (fatto salvo il calo di luminosità che gli occhiali causano) è delicata e per niente fastidiosa, acuendo la spazialità dei grandi spazi della Gare Montparnasse e tramutando i meccanismi degli orologi in un organismo che vive tanto quanto gli uomini che se ne prendono cura. Perché il piccolo Hugo è questo che fa, di nascosto da tutti, e specialmente dagli occhi del commissario della stazione che lo spedirebbe subito in un orfanotrofio: da solo si occupa della carica e della cura di tutti gli orologi di una grande stazione. Rimasto orfano del padre orologiaio e restauratore, abbandonato dallo zio ubriacone che aveva in cura gli orologi, Hugo continua pazientemente a fare il mestiere dello zio, ma al tempo stesso cerca di finire il lavoro del padre: rimettere in funzione un misterioso automa trovato in una soffitta di un museo. L’automa stringe una penna in mano: cosa traccerà sul foglio il suo pennino? Ma per aggiustare la macchina - perché una macchina rotta ha perso il suo sens; e Hugo si sente rotto anche lui e vuole scoprire qual è il suo scopo - il bambino ha bisogno dell’aiuto del proprietario di un negozietto di giocattoli meccanici all’interno della stazione. L’uomo è burbero e scontroso, ma con lui c’è una bambina sorridente; potrà lei aiutare Hugo? Chi sia quell’uomo e quanto sia legato a Hugo (e a tutti noi amanti del cinema), Scorsese ce lo mostra con immagini e trucchi che ancora adesso fanno rimanere a bocca aperta: quell’uomo è George Méliès, il primo ad aver capito che quello che i fratelli Lumiére consideravano poco più che un passatempo offriva potenzialità praticamente infinite a chi avesse avuto idee e storie da raccontare. Scorsese, che ha il culto dei vecchi film al punto di aver creato una fondazione per il restauro delle vecchie pellicole, mostra allo spettatore del 2012 (e con la tecnologia del 2012) che ci si può far affascinare anche da fondali di cartone e sbuffi di fumo. E se appare da subito come perfetta l’accoppiata dei due giovani Asa Butterfield e Chloe Moretz, e la scelta di Ben Kingsley per il ruolo di Méliès, si rimane piacevolmente stupiti nello scoprire che Sacha Baron Coen sa misurarsi con un ruolo apparentemente da cattivo (l’ispettore ferroviario) ma che nasconde aspetti dolorosi e profondi. Al di là delle undici nomination agli Oscar 2012, Hugo Cabret è destinato a diventare una pietra di paragone: una qualità che ritroviamo spesso nei film di Martin Scorsese, un regista che ha saputo mantenere gli occhi spalancati dell’infanzia.

Beppe Musicco